Prendiamoci cura dei nostri beni comuni con i Patti di collaborazione

Capita, anche spesso, di meravigliarci della bella immagine che ci mostra il monte Titano guardandolo da ogni lato e in tutte le stagioni. È uno dei nostri beni comuni come il panorama che si vede dalla sua cima. I Castelli, i borghi, i parchi, le piazze sono altri beni comuni materiali. La nostra storia, la democrazia, la coesione sociale, la partecipazione alla vita sociale e politica, l’immagine con cui ci presentiamo al mondo sono beni comuni immateriali. Anche se spesso ce ne dimentichiamo, ognuno di noi ne ha una parte di responsabilità. Questa responsabilità adesso la possiamo esprimere, non solo, indirettamente attraverso la delega, le rivendicazioni e il dialogo con l’ amministrazione, ma anche direttamente con i Patti di collaborazione che sono stati adottati, anche a San Marino, con il regolamento 2 agosto 2021 n.11.

Questo strumento è stato emanato per la prima volta in Italia nel 2014 a Bologna e si è poi diffuso con successo in oltre 250 città. Si tratta di una forma di collaborazione tra amministrazione e cittadini su un piano paritario con azioni di interesse generale, che riguardano la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa di beni comuni materiali e immateriali che i cittadini e l’amministrazione riconoscono essere funzionali al benessere della comunità, dei suoi membri, e all’esercizio dei diritti fondamentali della persona ed all’interesse delle generazioni future.

Il regolamento sammarinese, prevede un periodo di sperimentazione di due anni, e pur non escludendo i beni comuni immateriali, si accentra su quelli materiali.

ArengoLab crede che invece questo strumento possa avere un effetto rilevante solo se al bene comune venisse attribuito il suo significato più ampio. È fondamentale poi che l’amministrazione assegnasse ad una Unità Organizzativa specifica il compito di diffondere, favorire e monitorare l’uso di questo strumento.

I Patti di collaborazione potrebbero essere utili alle associazioni per incidere meglio sul territorio nei più svariati settori, essendogli riconosciuto, col Patto, uno specifico ruolo pubblico.

ArengoLab, che sta preparando una legge di iniziativa popolare per promuovere la democrazia partecipativa e deliberativa, ritiene che questi patti possano costituire un primo passo in tale direzione. Bisogna però crederci. Lo dovrebbe fare primariamente l’Amministrazione pubblica aprendosi e investendo energie su questo nuovo strumento. Lo dovrebbero fare le associazioni e i singoli cittadini ideando specifici patti consoni alle loro finalità e possibilità e utili per il Paese.

Bisogna provarci, è una nostra responsabilità.

Un sogno: democratizzare la democrazia

ArengoLab ha un sogno: dare alla democrazia una nuova vita, sottrarre la democrazia all’ingessamento della delega in bianco che il voto attribuisce alla politica, delega in bianco che sta allontanando i cittadini, particolarmente i giovani, dalla partecipazione attiva e consapevole alla vita politica del Paese.

In tutto il mondo, negli ambienti che studiano i fenomeni sociologici e politici c’è molta attenzione e preoccupazione circa gli sviluppi dei sistemi democratici. Quindi quelle di ArengoLab non sono speranze idee peregrine ma sono supportate da attenzioni autorevoli, anche dalle grandi istituzioni di cui San Marino fa parte: il Consiglio d’Europa, per esempio,  ha emanato una raccomandazione agli stati membri piena di straordinarie      indicazioni che ArengoLab spera di inserire in una legge che sarebbe capace, se andrà in porto sollecitando la partecipazione di tutti coloro che hanno a cuore questi temi fondamentali, di rivoluzionare radicalmente il modo di gestire il mandato elettorale e le possibilità per il cittadino di fruire di una  democrazia partecipata e di una  responsabilità sociale condivisa.

Per avere un’idea del contenuto innovativo di questo documento del Consiglio d’Europa di ben 20 pagine, riporto uno dei primi punti dei principi su cui si basa:

“Nessuno può essere escluso dalle decisioni che hanno o possono avere conseguenze significative e irreversibili per la sua esistenza e per la comunità locale o per la politica globale in cui vive. Ogni individuo o gruppo di individui deve avere la capacità di prendere una decisione o prendere parte a un’azione che avrà effetti significativi sulla scena pubblica. Le pubbliche autorità, enti e privati sono chiamati ad eliminare gli ostacoli giuridici, operativi e materiali per l’esercizio di tale diritto”

Non trovate in queste parole la risposta a molti dei problemi che i cittadini, le associazioni e le parti sociali denunciano da anni relativamente alla gestione del potere da parte dei governi?

Amministrazione Condivisa e Patti di collaborazione

L’amministrazione condivisa è una formula organizzativa basata sulla collaborazione tra amministrazione e i cittadini.
La teoria su cui si fonda questo modello fu esposta per la prima volta da Gregorio Arena nel 1997.
La novità del modello risiede nella parità (orizzontalità) tra cittadini e istituzioni. Questo modello consente infatti al cittadino e all’amministrazione pubblica di svolgere su un piano paritario azioni di interesse generale, che riguardano la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa di beni comuni.
L’interesse generale è quindi principio basilare, senza il quale non può esserci amministrazione condivisa. Amministrazione condivisa significa prendersi cura dei beni comuni, ovvero dei beni materiali e immateriali, che i cittadini e l’amministrazione riconoscono essere funzionali al benessere della comunità, dei suoi membri, e all’esercizio dei diritti fondamentali della persona ed all’interesse delle generazioni future.
L’amministrazione condivisa si contrappone idealmente al modello di amministrazione tradizionale imperniato su rapporti verticali asimmetrici, autoritativo e gerarchico. D’altra parte però l’amministrazione condivisa non si sostituisce ad altri modelli preesistenti, ma vi si affianca. E’ bene ribadire che l’amministrazione tradizionale e i suoi poteri (autorizzativi, concessori, sanzionatori e ordinatori) restano. Tuttavia attraverso la l’amministrazione condivisa si facilita l’impegno di chi vuole dare il proprio contributo per la cura dei beni comuni.
L’ipotesi di fondo è che i cittadini attivi siano una risorsa vivace, intraprendente, capace di affrontare ostacoli, e portatori di capitale sociale. Grazie a queste risorse i cittadini attivi possono uscire dal ruolo passivo di amministrati, e diventare co-amministratori, soggetti che integrano le proprie risorse con quelle di cui è dotata l’amministrazione, e si assumono una parte di responsabilità nel risolvere problemi generali.
Il rapporto che si instaura si fonda sulla fiducia e sul rispetto, comportando un radicale cambiamento nel metodo di lavoro e approccio dell’amministrazione pubblica, che deve considerare i cittadini come alleati per risolvere problemi: è infatti nell’interesse comune attingere alle risorse di cui i cittadini sono portatori.
Un rapporto di questo tipo permette inoltre di accrescere nelle persone l’appartenenza ai propri luoghi di vita attraverso la qualità delle relazioni con gli altri.
Chi sono i cittadini i attivi? Sono tutti i cittadini, singoli, o associati e collettivi, che a prescindere dai requisiti riguardanti la residenza, o la cittadinanza, si attivano per lo svolgimento di attività di cura dei beni comuni e dell’interesse generale.
Gli strumenti per la collaborazione tra cittadini e amministrazioni possono assumere svariate forme. A titolo esemplificativo si ricorda il bilancio partecipativo (nato a Porto Alegre e ripreso ad esempio dalla Regione Toscana), l’affidamento di spazi in gestione come avviene a Napoli, passando per interventi di cura e rigenerazione sullo schema di Patti di collaborazione. Quest’ultima è una pratica che si sta diffondendo velocemente nelle città italiane, dove si contano oltre 400 regolamenti approvati e oltre 4000 patti sottoscritti (Labsus, 2020). Queste esperienze sono riconosciute a livello internazionale come buone pratiche, e diverse città nel mondo stanno attivando sperimentazioni in questo senso. I patti sono stati previsti per la prima volta a Bologna nel 2014 e si pongono come strumento utile a mettere a frutto il potenziale dei cittadini attivi, che diviene risorsa per l’efficace cura dei beni comuni.
Questo modello organizzativo dovrebbe essere disciplinato attraverso un regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni , che permetta di avere chiarezza di rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione. Questo modello dovrebbe inoltre essere basato su relazioni di collaborazione e condivisione, ispirandosi a valori e principi generali quali fiducia reciproca, pubblicità, trasparenza, responsabilità, inclusività, apertura e pari opportunità, sostenibilità, proporzionalità, prossimità.
Il patto in sé rappresenta invece l’atto amministrativo negoziale, che fornisce una cornice legale alle pratiche sociali prima informali di cura, e che deve essere concepito entro il quadro legale del regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni. Attraverso il patto, l’amministrazione e i cittadini attivi concordano l’ambito degli interventi di cura dei beni comuni, regolando gli aspetti del rapporto collaborativo, quali l’interesse generale da perseguire, la tempistica, le modalità di azione, il ruolo e i reciproci impegni, le forme di trasparenza, e altri ancora.
I patti di collaborazione rappresentano uno strumento particolarmente flessibile, che si presta sia per azioni di cura ordinarie che complesse, ovvero patti che hanno come oggetto interventi di cura o rigenerazione su spazi e beni comuni di significativo valore (storico, culturale, o economico), e che quindi implicano la messa a punto di attività complesse o innovative. Da ciò ne consegue una maggiore complessità dell’iter procedimentale, che dovrebbe coinvolgere anche il livello politico.
L’amministrazione condivisa in conclusione permette di configurare forme inedite di collaborazione, consentendo ai cittadini di esercitare a pieno i propri diritti civili e sociali, e dunque, di realizzare forme di democrazia partecipativa (Cainello, 2018); lo strumento del patto di collaborazione permette inoltre di avere chiarezza di rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, rispetto ad attività di cura dei beni comuni.

Crisi della democrazia e deficit di “comunità civica

Il RISCHIO DI FIDARSI

L’uomo è un essere sociale, non può vivere senza mettersi in relazione con altre persone e stabilire rapporti di fiducia con esse. D’altronde l’essere umano è concepito da un atto di amore e fiducia reciproca tra suo padre e sua madre, si forma vivendo per 9 mesi protetto nell’utero e venuto alla luce istintivamente si attacca al seno materno per nutrirsi, poi cresce prima tenuto in braccio e dopo per mano dai genitori.

Grazie alla fiducia che ha in essi il piccolo è aiutato ad entrare nel mondo controllando le sue angosce e timori, ascoltando i suoni dei genitori impara a parlare e quindi a mettersi in relazione con gli altri. Senza fiducia i bambini non imparerebbero a vivere. La “certezza del mondo” per gli esseri umani è dunque rappresentata da diversi fattori: natura, ambiente, comunità; relazione intergenerazionale, reti famigliari, legami sociali; costumi, simboli ed istituzioni.

Le credenze rendono coerente il mondo e le azioni degli uomini, infatti modellando la loro vita su regole comuni (leggi, diritti/doveri e consuetudini) essi sanno cosa aspettarsi gli uni dagli altri. Ne consegue che le istituzioni (parentali e comunitarie) dovrebbero corroborare tali certezze e favorire i rapporti fiduciari diretti tra le persone.

L’uomo dunque per sua natura e predisposto a fidarsi, eppure nel concedere fiducia si espone inevitabilmente alla possibilità che in qualsiasi momento questa venga delusa. In questi tempi purtroppo si sente parlare spesso di “perdita della fiducia in generale, e di sfiducia nelle istituzioni e nella politica in particolare. La delusione infatti genera dubbi, che possono riguardare sia i valori creduti che la bontà di coloro che li hanno in custodia e ci fanno da guida. Il venire meno della fiducia genera disorientamento e riduzione della coesione sociale, creando tensioni e crisi del sistema paese.

Diverse ricerche sociologiche (Putnam, Cartocci, ecc.) svolte in Italia hanno dimostrato che la qualità della vita democratica di una comunità ed il benessere dei suoi cittadini non sono strettamente legati solo alla ricchezza ed ai beni prodotti (PIL), quanto piuttosto al capitale sociale di cui gli abitanti sono dotati. La dotazione di capitale sociale di una comunità si misura in base: al grado di fiducia dei suoi componenti, al senso di obbligazione e di responsabilità verso gli altri e le istituzioni, alla solidarietà e partecipazione che sono in grado di esprimere.

In sostanza il capitale sociale si traduce in impegno civico, cioè nell’interesse per le questioni riguardanti la vita pubblica e la partecipazione ai problemi della comunità, concretizzandosi in: solidarietà, fiducia reciproca e tolleranza per le opinioni altrui; associazionismo e partecipazione come fondamento della democrazia. Quindi è il deficit di “comunità civica” che compromette sia la qualità della politica e delle istituzioni, sia le opportunità di sviluppo economico.

Non esistono studi specifici circa la dotazione di capitale sociale della comunità sammarinese, tuttavia oggettivamente si può constatare come soprattutto negli ultimi 30-40 anni nella cittadinanza sia: progressivamente cresciuto l’individualismo egoistico e parallelamente siano venute meno il senso di solidarietà, la partecipazione responsabile, la coesione sociale, il senso etico e civico (esempi eclatanti sono la corruzione, il clientelismo, la conflittualità, la mancanza di fiducia e cooperazione su problematiche come l’inquinamento, la gestione dei rifiuti, l’epidemia Covid 19, ecc.). Tutto ciò ha portato al progressivo deterioramento del sistema democratico, sociale ed economico, poiché con ogni probabilità i cittadini hanno selezionato la classe politica non per le sue competenze e qualità morali al servizio del bene comune, ma forse perché ritenuta disponibile a concedere loro privilegi che non gli sarebbero spettati ed acconsentire stili di vita insostenibili.

In cambio di ciò la politica ha preteso di operare indisturbata, ha ricercato solo il consenso e non la condivisione sulle scelte che riguardavano il futuro di tutti, pertanto spesso si è resa disponibile ad ascoltare e soddisfare le richieste dei singoli (clientelismo) e non le esigenze della comunità (partecipazione). Risultato: la Repubblica nata dall’Arengo ha disperso il valore e la pratica della democrazia partecipativa, quindi le istituzioni ed i partiti sono divenuti sempre più autistici perdendo il contatto con il paese reale ed inseguendo i desiderata di pericolosi gruppi di potere.

La deriva democratica e sociale che scatta con la delusione e perdita di fiducia della popolazione può comportare rischi molto gravi nell’attuale momento, in cui la sostenibilità del sistema paese è molto vacillante e si impongono scelte difficili. Si può recuperare la fiducia e ricreare una coesione sociale sulle scelte da farsi solo rafforzando la cittadinanza attiva (insieme di soggetti che si uniscono in forme di autoorganizzazione che comportano l’esercizio di poteri e responsabilità nell’ambito delle politiche pubbliche, al fine di rendere effettivi diritti, tutelare beni comuni e sostenere soggetti in condizioni di debolezza), creando cioè un corpo sociale intermedio capace di controllare ed indirizzare il processo democratico e l’operato delle istituzioni. Poiché come abbiamo visto i cittadini ed il sistema democratico non possono vivere e funzionare senza reciproca fiducia, quindi occorre trovare il modo di non concederla in maniera incondizionata, come è avvenuto sinora con la delega in bianco che le forze politiche hanno ottenuto dopo l’esito elettorale. Pertanto occorre trovare le modalità per cui la cittadinanza sia responsabilmente disponibile a concedere fiducia, ma anche a non accordarla a priori ed in toto.

Occorre dunque stipulare un nuovo patto di cittadinanza che persegua la Responsabilità Sociale Condivisa, cioè una modalità trasparente di cooperazione tra ceto politico e cittadini che, pur nella disparità e divergenza degli interessi, sappia farsi carico dei destini comuni. Con metodi e strumenti condivisi si deve addivenire ad un patto di lealtà, dove ognuno deve rinunciare alla soddisfazione di un interesse immediato (spesso apparente) per il bene di tutti, cioè il bene comune.

Questo è l’obiettivo che si prefigge Arengo Lab.

Cominciano gli incontri con i rappresentanti della società civile

Dopo l’uscita pubblica di ArengoLab, sono iniziati i primi incontri con Associazioni, cittadini che hanno chiesto espressamente di parlare del progetto su cui lavoriamo e con le grandi organizzazioni del Paese, cominciando dalle Organizzazioni sindacali CSdL, CDLS, USL che abbiamo incontrato congiuntamente il 18 scorso.

Con le Associazioni appena un avvio perché sembra che tante non abbiano colto l’importanza della nostra proposta. Comunque, con quelle incontrate venerdì 15, si è rilevata una forte convergenza di posizioni. Attendiamo la disponibilità di altre, particolarmente dei coordinamenti di settore delle. Veramente interessante l’incontro con i sindacati visto che uno dei punti di riferimento di ArengoLab, l’esortazione del Consiglio d’Europa agli stati membri per la promozione e della democrazia partecipata e la promozione della responsabilità sociale condivisa, confronto costante con la popolazione e i corpi intermedi rappresentativi della società civile. In questa prospettiva i sindacati sono considerati in modo particolare unitamente alle Associazioni delle imprese.

Sono state condivise le gravi preoccupazioni per le prospettive del Paese e in Particolare delle nuove generazioni che la carta del consiglio d’Europa raccomanda di tenere in considerazione come imperativo di giustizia intergenerazionale mentre nei fatti le stiamo caricando di debiti senza progetti concreti per il futuro.

ArengoLab continuerà a cercare il confronto con tutte le realtà sociali per realizzare assieme il programma di tradurre nel Paese le norme della responsabilità sociale condivisa raccomandate dal Consiglio d’Europa e per superare la crisi della democrazia rappresentativa che attribuisce a chi vince le elezioni una delega in bianco e alla popolazione alla popolazione un ruolo passivo frustrante e pericoloso per la stessa democrazia.

San Marino e la crisi della democrazia rappresentativa

Il gruppo Arego Lab, che si è presentato pubblicamente di recente, intende operare come laboratorio per l’analisi della crisi della democrazia delegata, problema ormai all’attenzione di studiosi e dei politici più attenti all’evoluzione dei sistemi democratici in tutto il mondo.

San Marino è una delle più antiche repubbliche che trova le sue radici nell’Arengo, nella partecipazione responsabile dei cittadini ai processi decisionali, quindi nella sovranità popolare, ma il tempo e la trasformazione della società civile ha messo in evidenza i limiti di questo modello di democrazia rappresentativa – delegata. Con l’Arengo del 1906 San Marino ha fatto un passo fondamentale verso i modelli delle democrazie storiche occidentali, ma negli anni la delega che ne è lo strumento fondamentale relega  i cittadini ad un ruolo passivo in assenza di strumenti che ne facilitino  un ruolo attivo e non valorizza una democrazia partecipata e consapevole.

Nella situazione sammarinese i segni preoccupanti del distanziamento dei cittadini dalla politica sono molti, in particolare nelle nuove generazioni che, a parte eccezioni, tendono a considerare la politica lontana dalle proprie idee e dai propri sogni, da utilizzare semmai per qualche occasione di opportunità e per ottenere favori che siano legittimi no. Le punte di questo processo negativo arriva alla corruzione e al voto di scambio, una situazione che produce diseducazione alla cittadinanza attiva che è alla base della democrazia. E’ cresciuto notevolmente l’impegno dei cittadini nel volontariato, aumentando positivamente le articolazioni della società nell’impegno sociale in una realtà politico istituzionale inadeguata al confronto e alla partecipazione in quanto queste istituzioni sono ancora ferme al principio che una volta ottenuta la delega si sentono abilitate a decidere  (qualcuno interpreta “a comandare”) senza partecipazione e confronto con la società civile e con le formazioni sociali la compongono. Nei fatti ormai da molti anni sia le grandi organizzazioni intermedie (sindacati, associazioni economiche e grandi settori dell’amministrazione quali la scuola) come le associazioni culturali e di volontariato lamentano l’incapacità e la mancanza di volontà dei governi di confrontarsi e far partecipare queste realtà intermedie nelle scelte riguardanti gli interessi legittimi di cui sono portatrici.

Gli stessi rapporti fra forze politiche sono imprigionati in questa perversa dinamica: quando sono all’opposizione lamentano la mancanza del dovuto confronto salvo negarlo quando vanno al governo. I rapporti sono così deteriorati da offrire in spettacolo spesso insopportabile e sgradevole da togliere ogni fascino alla politica.

Questa preoccupazione, proprio perché diffusa in molti paesi, è stata colta anche dal Consiglio d’Europa che il 22 gennaio 2014 ha emanato una Carta d’Europa sulla condivisione delle responsabilità sociali e dal nostro Consiglio Grande e generale che il 15 febbraio 2019 ha votato all’unanimità un l’ODG con l’intento di promuovere iniziative di educazione alla cittadinanza.

Nella prospettiva quindi di rinnovare e attualizzare lo spirito dell’Arengo storico e le gloriose tradizioni di libertà e di democrazia della Repubblica; per assicurare al paese ed in particolare  alle nuove generazioni una prospettiva di crescita sociale civile e democratica, in una collettività capace di garantire una vita solidale fondata sulla responsabilità sociale condivisa, Arengo Lab sta cercando le collaborazioni possibili e le possibili mobilitazioni per realizzare a san marino un ordinamento che riscopra i valori dell’arengo e recepisca la carta del Consiglio d’Europa sulla condivisione delle responsabilità sociali.

Arengo Lab: per riprenderci le nostre responsabilità verso il Paese

Di fronte alle difficoltà economiche e sociali irrisolte di San Marino, parafrasando una famosa canzone di De André si potrebbe dire: “Anche se noi ci crediamo assolti siamo lo stesso coinvolti.”

Siamo “coinvolti” nella responsabilità del Paese e non esauriamo il nostro compito delegando i rappresentanti del Consiglio Grande e Generale.

Con la “delega in bianco” ci comportiamo come se incaricassimo qualcuno a gestire i nostri affari e aspettassimo la scadenza dell’incarico prima di verificarne l’operato.

La mediazione tra cittadini e istituzioni, esercitata in passato principalmente dai partiti politici e da altre forme di associazionismo, è ormai praticamente estinta. Pertanto noi cittadini siano relegati ad un ruolo passivo e siamo stati allontanati dalla partecipazione attiva della politica. Questo ha portato ad un’erosione della fiducia nelle istituzioni e nella politica e, conseguentemente, ad un circolo vizioso che continua a ridurre la partecipazione attiva dei cittadini alla cosa pubblica ed alla vita sociale.

In un piccolo stato come il nostro la responsabilità individuale ha un peso considerevole. In gioco, oltre al benessere attuale, c’è quello dei nostri figli e, alla fine, anche la stessa indipendenza di San Marino.

Purtroppo la classe politica, per ora, è stata miope e non ha cercato realmente di porre rimedio a questo gap democratico. Anzi, lo ha usato accusando l’avversario politico, come se fosse solo colpa sua, per il proprio consenso elettorale. Così sono cambiate le maggioranze e sono cambiati gli accusatori ma sostanzialmente il comportamento è rimasto quello di voler “comandare” invece che governare cercando le collaborazioni migliori.

I rapporti fra forze politiche sono imprigionati in una dinamica perversa: quando sono all’opposizione lamentano la mancanza del confronto salvo negarlo quando vanno al governo. Lo scontro anche atroce nel dibattito politico è principalmente per acquisire consenso non per sostenere le proprie convinzioni.

Per questo un gruppo di cittadini, avendo come radice l’ Arengo e come prospettiva le attuali teorie evolutive della democrazia, ha deciso di dare vita ad Are’n’go Lab, uno spazio di confronto democratico, apartitico, accessibile a tutti. Per promuovere nuovi sistemi di partecipazione in grado di affiancare gli attuali istituti di democrazia rappresentativa, anche, attraverso norme che adottino la Carta d’Europa sulla condivisione delle responsabilità sociali del Consiglio d’Europa del 22 gennaio 2014.

Responsabilità sociale condivisa

Il 22 gennaio 2014 il Consiglio d’Europa ha approvato la Carta per una Responsabilità sociale condivisa
(Shared Social Responsability). La carta promuove l’accordo(condivisione) tra soggetti di diversa
natura, promuovendo la mutua assunzione di impegni e doveri reciproci, secondo il modello della
sussidiarietà circolare, allargata a tutti gli ambiti delle politiche pubbliche.
La Responsabilità Sociale Condivisa prevede che gli individui e le istituzioni siano responsabili delle loro
azioni o omissioni nei confronti dell’intera popolazione, riguardo al benessere sociale e alla protezione
della dignità umana, dell’ambiente e dei beni comuni, nella lotta contro la povertà e la discriminazione,
e nella ricerca della giustizia e della coesione sociale.
Per approfondire: Carta-Europea-Responsabilita-Sociale-Condivisa

 

Coesione sociale come responsabilità condivisa

Coesione sociale come responsabilità condivisa. Il ruolo dei cittadini e dei governi locali.
Tratto da Scienze e Ricerche di Patrizia Giardiello.
 La responsabilità sociale di territorio

Arengo

L’Arengo è la prima forma di governo della Repubblica di San Marino, nato nell’alto medioevo. Era
assemblea di tutti i capifamiglia, che si riuniva per decidere le questioni importanti riguardanti la vita
pubblica, in pratica gestendo sia il potere legislativo, che esecutivo e giudiziario. Con l’aumentare della
popolazione intorno al XV secolo si inizia a nominare 60 membri a cui delegare parte delle funzioni
originarie, nasce così il Consiglio Grande e Generale.
L’Arengo tornò a riunirsi il 25 marzo 1906 quando attraverso la prima forma di referendum interverrà
contro le prassi oligarchiche che si erano affermate nel tempo, sostenendo una grande ristrutturazione
che ha permesso di ampliare il numero delle persone che potevano votare.
Attualmente si conserva la possibilità di presentare Istanze d’Arengo: richieste di interesse generale che
i cittadini possono presentare ai nuovi capi di stato semestralmente. L’Istanza d’Arengo è uno dei tre
istituti di democrazia diretta previsti nell’ordinamento della Repubblica di San Marino (gli altri sono il
referendum e l’iniziativa legislativa popolare).